martedì 6 settembre 2011

Senza il mio Dio non potrei vivere

All'età di 21 anni ero già molto stanca e delusa di tutto quello che vedevo intorno a me e mi chiedevo se ci fosse veramente Dio. E se c'era, dov'era? Le proposte della società e delle amicizie erano fatue, superficiali e l'apparire era più importante dell'essere. Sentivo un vuoto interiore che mi angosciava; il mondo, la storia, si ripetevano nei secoli: guerre, odio, violenze, interessi economici in primo piano. Come si poteva considerare l'uomo buono? Mi chiedevo come mai l'uomo, definito essere intelligente, fosse arrivato a ideare e compiere stragi e stermini di intere razze e popoli. Stringendo il cerchio, però, vedevo che il male era anche dentro di me, ero delusa anche di me stessa, finivo io stessa per non rispettare fino in fondo certi miei principi. Perchè tutto questo malessere, come si poteva essere coerenti con quello che diceva Dio? Le mie domande erano sincere e chiedevo una risposta a Dio stesso. La mia coscienza era però molto angosciata dagli interrogativi che mi ponevo sulla morte e sulla mia sorte nell'aldilà. Questi argomenti mi interessavano molto. Pregavo Dio chiedendogli cosa dovevo fare per essere pronta ad incontrarlo. Forse delle buone opere? Aiutare chi soffre? Che cosa dovevo fare? Certamente Dio aveva ascoltato quella preghiera. Una notte finalmente, stanca e aggravata da un peso interiore che sembrava schiacciarmi, sentivo di non appartenere veramente a Dio, nonostante tutti i miei sforzi sentivo che ero separata da Lui e lo invocai con tutta me stessa. Mi vennero alla mente le parole sentite una settimana prima a casa di una famiglia, erano degli amici evangelici, che mi avevano raccontato uno ad uno la loro testimonianza, dopo che io avevo chiesto loro che cosa avesse cambiato la loro vita e perchè si erano così convinti che Dio fosse la cosa più importante per loro. Perchè prima, tutto il paese sapeva che non erano credenti e che anzi, facevano tutto un altro tipo di vita. Ero rimasta molto toccata da queste persone, che parlavano, cantavano inni e mi raccontavano la loro storia, e sembrava che per loro Dio fosse reale e molto vicino. Ritornando così a quella notte, nella mia camera da letto, pregai Gesù con tutto il cuore di manifestarsi a me, lo invocai con tutta me stessa dicendogli che credevo che Lui fosse morto per me sulla croce, per caricarsi dei miei peccati. Improvvisamente in quel momento tutto mi era chiaro e comprendevo il suo sacrificio espiatorio, lui innocente, aveva pagato per me e mi aveva liberata da ogni colpa. Cominciai a sentire la sua presenza in modo tangibile in tutta la stanza e dentro di me, il mio cuore era leggero, libero e pieno di gioia, una gioia mai provata prima, non descrivibile a parole. Quel peso che sentivo era il peso del peccato che mi separava da Dio e che in quel momento era sparito, come tolto improvvisamente mentre sentivo una presenza spirituale dolcissima che mi consolava e mi perdonava: era Gesù! Gesù che io avevo invocato disperatamente. Non posso descrivere con parole questa esperienza che Dio nella sua misericordia mi ha fatto vivere, anche se il giorno dopo cominciai a raccontare ai miei famigliari e amici di aver incontrato Dio, non riuscivo a contenermi dalla gioia, e realizzai ben presto però che nessuno mi capiva. (Nessuno tranne i miei amici credenti evangelici). Ero talmente piena di pace e gioia che cercavo di spiegarlo meglio che potevo, ma per contro ricevetti molte umiliazioni, soprattutto nella mia famiglia.

SECONDA PARTE
Ero cambiata, rinnovata, piena di pace e di gioia, potevo anche perdonare cose che non ero mai riuscita a perdonare prima e mi rendevo conto che era un miracolo perchè potevo farlo solamente attraverso Gesù che operava in me. Iniziai a frequentare la chiesa cristiana evangelica vicina al mio paese e a leggere la Bibbia. Crescevo nella fede, volevo conoscere Dio sempre di più. Trovai un buon lavoro, anche se lontano e dovetti trasferirmi. Dopo alcuni anni conobbi un ragazzo che condivideva la mia stessa fede. Fu il classico "colpo di fulmine" e presto ci sposammo, iniziando una nuova vita insieme a Mantova. Dopo un anno era già in attesa di due bimbe gemelle.
A quel punto iniziò un capitolo molto doloroso della mia vita. Avevo 29 anni appena compiuti e un pancione enorme, di lì a poco sarebbero nate le mie due bimbe e sarei diventata presto mamma. Ma l'evento più atteso e più bello per molte donne si stava trasformando per me in una tragedia.
In una bellissima e calda notte d'estate, dopo la mezzanotte, nacquero Alice e Anna, era il 10 luglio 1997. Le bimbe erano sane e urlanti, le avevo potute vedere subito perchè mi era stato praticato sì il taglio cesareo, ma in anestesia parziale (epidurale). Sembrava tutto perfetto. Ma dopo poco tempo cominciai a sentirmi malissimo. Comparvero crampi insieme ad altri gravi malesseri, senza che i medici riuscissero a scoprirne la causa, anzi dicevano che era sicuramente l'effetto dell'anestesia e che si sarebbe risolto tutto molto presto. Intanto continuavo a stare molto male e il mio corpo non riusciva più ad espellere i rifiuti liquidi. Il mio stato si aggravò così tanto che dovetti essere trasferita d'urgenza in un reparto di terapia intensiva con attrezzature specializzate per la dialisi. La diagnosi: CID "coagulazione intravascolare disseminata", una complicazione mortale della gravidanza. Il mio sangue aveva formato dei coaguli, i quali mi avevano bloccato completamente entrambi i reni, con il rischio oltre tutto, che intasassero anche il cervello e i polmoni. Giunta in terapia intensiva, dovetti affrontare sofferenze atroci, che cercai di sopportare invocando Gesù. Infatti a causa dell'urgenza, mi furono inseriti nel corpo diversi cateteri, fra i quali uno alla giugulare, senza anestesia. L'ultimo non lo sentii neppure dato che il dolore era talmente forte da farmi perdere i sensi. Mi risvegliai in rianimazione, circondata da persone che sembravano morti ma che erano tenuti in vita da una macchina, uno spettacolo terribile. Io ero nell'anticamera della morte e sentivo quella minaccia incombere su di me. Il mio sangue continuava a produrre coaguli e i medici continuavano a somministrarmi anticoagulanti per diluirlo, ma il rischio era che le ferite non si cicatrizzassero più. Fra trasfusioni di sangue e plasma, ossigeno, macchinari mai visti prima, cateteri e flebo, il mio corpo era diventato una macchina irriconoscibile. Non era più il mio corpo, deformato dall'acqua che la dialisi doveva aiutarmi ad espellere e che aveva fatto aumentare di 30 kg il mio peso.
Due giorni dopo il parto, i medici non sapevano se sarei sopravvissuta. Bisognava attendere che fosse trascorsa la nottata, per vedere se ci fossero speranze di miglioramento. I miei famigliari erano disperati e mi guardavano attoniti attraverso un vetro. Nessuno, neppure mio marito, poteva entrare per salutarmi, neanche per l'ultima volta. Mio marito e tutta la chiesa pregavano intensamente per me ed io sopravvissi a quella notte. (FINE II PARTE)......

III PARTE Nonostante la situazione, fu straordinaria la forza che il Signore mi diede. Lo invocavo con tutta me stessa, misi la mia vita nelle mani di Dio, implorando la Sua misericordia per me e per le mie figlie. Chi oltre a lui avrebbe potuto fare qualcosa per me? Il recupero della mia salute procedeva a fasi alterne, ebbi diverse ricadute e non riuscivo a smaltire i farmaci di cui avrei avuto bisogno per poter riposare un po', e che mi causarono addirittura allucinazioni. Oltre ai reni, anche il cuore e i polmoni iniziavano ad essere compromessi (ed infine persi anche la vista per una settimana). Fu allora che arrivarono i momenti di autentica disperazione, e in questa disperazione cantavo con un filo di voce inni di lode a Dio, come segno che non volevo arrendermi e che lo volevo glorificare anche in quel momento. Un giorno mentre i medici sostituivano il mio plasma intossicato con quello fresco, il macchinario si ruppe disperdendo quasi tutto il mio sangue al di fuori del mio corpo. Non so come fosse possibile che restassi in vita. Le forze mi avevano completamente abbandonata e mi sembrava che la vita mi stesse lasciando, l'unica arma in quella situazione era continuare a cantare a Dio. I medici fecero riparare la macchina mentre io provavo una consolazione interiore e una inspiegabile certezza che Dio mi avesse messo vicino i suoi angeli. Non solo sopravvissi a quel terribile momento critico, (in cui i medici, mi confessarono dopo, stavano ormai perdendo le speranze per la mia vita), ma iniziai a stare meglio, giorno dopo giorno. Mi aspettava però una vita dipendente dalla dialisi e non saprei come avrei fatto ad affrontare tutto questo dovendomi occupare anche delle bambine appena nate. Dio mi aveva lasciata in vita ma avevo subito la perdita totale della funzione renale. Anche nella sofferenza Gesù era con me. Sapevo che lui mi amava anche se non capivo il perchè di tutto quello che mi stava succedendo. Cercavo più che potevo di tenermi stretta a Gesù. Negli anni a seguire ogni mattina, poichè avevo poche forze, lo invocavo per aiutarmi in quella che per me era una lunga ed estenuante giornata, chiedevo il suo aiuto per alzarmi, per fare alcune faccende, per andare a fare la dialisi, per tornare in auto da sola con il pericolo di emorragie (come tutti i dializzati autosufficienti), e nel pomeriggio per aiutare le bambine a fare i compiti: avevo bisogno della sua forza più che mai per affrontare le mie giornate serenamente e con il sorriso. Mi sentivo come Giuseppe nella prigione. Per concludere posso affermare che senza il mio Dio non potrei vivere, non avrei conservato la fede, la mia famiglia non sarebbe unita, non sarei ristabilita attraverso il trapianto di rene che arrivò sette anni fa e che mi ha consentito di ritornare a rivivere una vita normale, una nuova rinascita, e che ho accolto come un autentico dono e soccorso di Dio per liberarmi dalla vita attaccata ad una macchina. Assumo moltissimi farmaci ogni giorno per consentire al rene trapiantato di restare il più a lungo nel mio corpo, poichè senza questi farmaci antirigetto il mio corpo lo rifiuterebbe immediatamente. Questi farmaci potrebbero causare in futuro dei pericolosi effetti collaterali e malattie, ma anche questo problema ho dovuto affidarlo nelle mani di Dio per evitare di essere sempre in ansia. Al mio Dio in cui confido ho affidato la responsabilità del mio futuro, ogni cosa. Io e mio marito Paolo ringraziamo Dio per come ci ha sostenuto e per tutto quello che ha fatto per noi. Nelle avversità Dio è il nostro rifugio. Spero che questa mia condivisione possa incoraggiare qualcuno che sta cercando Dio o che si trova in qualche avversità. A Dio sia la gloria.

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